C’ERA UNA VOLTA A ROMA (GLI ARTISTI DI PIAZZA DEL POPOLO)

 C’ERA UNA VOLTA A ROMA. Gli anni Sessanta intorno a piazza del Popolo.

A Castelbasso, in Abruzzo, nel Palazzo De Sanctis.

La Mostra resterà aperta fino a fine agosto dal martedì alla domenica, dalle 19 alle 24.

Il progetto espositivo prevede una selezione di opere, tra le più rappresentative, degli artisti protagonisti di questa irripetibile temperie culturale, espressione di un decennio per certi versi considerato oggi “mitico”, segnato dalla “dolce vita”, dal boom economico e da una teoria e una pratica destinate ad esercitare una duratura influenza sul presente dell’arte. Artisti: Franco Angeli, Nanni Balestrini, Umberto Bignardi, Mario Ceroli, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Jannis Kounellis, Sergio Lombardo, Francesco Lo Savio, Renato Mambor, Gino Marotta, Fabio Mauri, Pino Pascali, Mimmo Rotella, Salvatore Scarpitta, Mario Schifano, Cesare Tacchi, Cy Twombly, Giuseppe Uncini.

«Forse nessuna epoca ha mai suscitato tanta e tale nostalgia come gli anni Sessanta. E se la nostalgia è un sentimento che riguarda lo spazio prima ancora del tempo, il luogo di questo sentimento non può che essere una città: Roma. Nei primi anni Sessanta a Roma un nutrito gruppo di giovani artisti, fuoriuscendo dalla stagione breve ma intensa della pittura informale, dopo aver azzerato tutto attraverso il monocromo, dà vita a una cultura dell’immagine che intreccia icone del consumo di massa (nel 1964 sbarcherà alla Biennale di Venezia la Pop Art americana) e citazioni dai movimenti italiani protagonisti del primo Novecento europeo, su tutti il Futurismo e la Metafisica. Il gruppo eterogeneo, costituito da artisti diversi sia per sensibilità sia per modus operandi, è stato anche definito Scuola di piazza del Popolo perché si ritrovava in quella storica zona di Roma dove c’era il caffè Rosati – luogo di incontro quotidiano per letterati e artisti – ma soprattutto la galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis e inoltre, sempre nella stessa area, la galleria La Salita di Gian Tomaso Liverani. A queste due gallerie e a molte altre si aggiungerà, nella seconda metà della decade, l’Attico di Fabio Sargentini».

A piazza del Popolo e dintorni, oltre all’americano di Roma Cy Twombly (arrivato nel ’52 con Robert Rauschenberg, e poi tornato per restarvi nel ’57), troviamo De Kooning, l’italoamericano Scarpitta (che poi tornerà a New York con Leo Castelli), Mimmo Rotella, Fabio Mauri; Giuseppe Uncini e Francesco Lo Savio che con il fratello di quest’ultimo Tano Festa e con Mario Schifano e Franco Angeli espone in una serie di mostre. E ancora Jannis Kounellis, Pino Pascali, Giosetta Fioroni, Mario Ceroli, Umberto Bignardi, Gino Marotta, Sergio Lombardo, Renato Mambor, Cesare Tacchi. Ognuno di questi artisti è impegnato in un personale cammino intellettuale, artistico ed esistenziale. Sono seguiti soprattutto da critici-poeti, come il grande Emilio Villa e Cesare Vivaldi, dalla mitica direttrice della GNAM Palma Bucarelli, dai giovani Maurizio Fagiolo e Vittorio Rubiu.

In quegli stessi anni Piazza del Popolo è punto di ritrovo anche per il gruppo dei poeti Novissimi che spesso si intersecano con gli artisti romani, presentando i nuovi artisti con le loro poesie e viceversa, così come avviene, ad esempio, con il Gruppo ’63 e in particolare con Nanni Balestrini. Gli artisti che gravitano intorno a Piazza del Popolo vivono in osmosi con scrittori, registi e giornalisti, iun universo di cui fanno parte anche Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Albero Arbasino, Goffredo Parise ed Ennio Flaiano. La Roma di quegli anni restituisce un clima in ebollizione, in cui confluiscono stimoli diversi: teatro, performance, cinema, fotografia, letteratura e poesia, in favore di un plurilinguismo innovatore e di una contaminazione fra discipline diverse. Si sperimentano nuove tecniche, nuovi materiali, nuovi soggetti: nell’arco di un decennio il modo di fare arte cambia radicalmente. Il tratto distintivo degli artisti di Piazza del Popolo risiede nella scelta di rappresentare motivi presi dall’immaginario comune, teso alla creazione di un nuovo codice espressivo che non ha nulla a che fare con la semplice rappresentazione del reale a fini estetici o banalmente provocatori.

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