PER VALERIO

(Dal mio ultimo scritto corsaro, sul numero di Intercity in circolazione da giovedì. Ci mancherai un sacco, Valerio).

Il primo pensiero che mi ritorna in mente, è questo, così, tra i tanti, indelebili, come tutti i pensieri fondamentali, favolosi, appartiene all’adolescenza; come se il processo di fondazione dei ricordi, la stoffa più preziosa della vita, avesse vita assai breve, giusto i nostri primi diciott’anni, vent’anni, di vita; reminiscenze leggere, spesso leggerissime, ci piace sempre ricordarci spensierati e liberi, divertiti e ubriachi di piccoli episodi epici quotidiani, scostumati, irriverenti, eterni di eternità. Anche le cose che più ti hanno fatto soffrire diventano nuvole sfuggenti, dolci memorie struggenti, vent’anni dopo.

Quei pomeriggi a casa sua, io, Alessio – non ci siamo quasi più visti ma non passa giorno che non pensi un po’ a lui – e lui, suo fratello, Valerio – che era più piccolo di un anno ma già acchiappava in maniera sfacciata, era una potenza della natura, un tornado -, spaparanzati sul divano di casa loro a vederci in tv le puntate di Miami Vice, sognando Don Johnson, e la California non da cartolina, e la vita adulta con i suoi codici di benessere e e (s)lealtà, mentre mangiavamo merendine passate al microonde, aperte e farcite di Nutella; e poi rientrava dal lavoro vostro padre, il mitico Vinicio, che aveva allora i miei anni di oggi.

La prima volta che ti vidi: grande e imperioso, nonostante i tuoi quindici anni, bello come il sole, a cavallo del tuo Sì Piaggio bianco, con cui sapevi già impennare, mentre io non ci sarei riuscito mai, a cavalcioni del mio Sì Piaggio bluetto metallizzato.

Quei pomeriggi e anche quelle mattine da filonari a PacMania, la sala giochi di piazza Salotto, “New Sensation” degli Inxs in loop sul video-juke box; i calzoni eviscerati e riempiti di patatine fritte con doppia salsa della rosticceria “Il Pasticcio”.

Le partite di biliardo nella sala di ricevimento dell’hotel un po’ kubrickiano del nostro amico Gigi, il mio migliore amico dell’epoca, con tutte quelle camere matrimoniali abbandonate a se stesse, dove tutti noi consumammo le nostre prime esperienze, specie voi, specie tu, specie le “ingarrate”, e certo, Roberto millantava un po’, pettinava le notizie autobiografiche da par suo, o almeno a noi così pareva, Alessio divenne sostanzialmente monogamo, io più che altro avevo un debole per la pornografia tant’è che tu mi prendevi fragorosamente per il culo, ma anche tu avevi i tuoi bravi difetti, bello, come quando ti rinchiudevi negli armadi dell’hotel fantasma in pieno centro, alla Bombolo, “Venticello!”.

Il mio primo capodanno senza la mia famiglia, avevo quindici anni si entrava nel 1990 e c’eravamo un po’ tutti: tu, Alessio, Roberto D.R., Andrea R., Davide M., Andrea C., Gigi C., Alberto B., Mirko M.

Quel doppio di tennis a Francavilla tra me e tuo cugino, Mirko D.G, una sagoma (che un giorno disse “E’ limpido l’acqua, lo puoi bere”, quante risate), e quelle due sue procacissime amiche, se si potesse tornare indietro…

Le scampagnate di massa, di tutto il mondo, e cioè della nostra comitiva, in Sì Piaggio verso la discoteca Niagara, dove ballavamo quella musica orribile, che ci sembrava bellissima; o in direzione aperta campagna, non appena faceva primavera, il sole e un prato verde ed eravamo i giovanissimi uomini più felici della terra.

Sono passati vent’anni. Sembra ieri. Ci eravamo persi di vista ma sei stato parte integrante della mia adolescenza; quindi, dei miei anni più belli e importanti. Più veri. Seppur lontano ti ho sempre voluto tanto bene. Ciao, Valerio.

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