MA NON CI LANCIARONO BANANE ADDOSSO

Mariangela si è fatta i capelli con la piastra, frisè, praticamente una replicante di certe cantanti blackexploitation anni settanta. Giravamo per Roma, luglio inoltrato, rivedi tutta Roma in tre giorni. Stavamo sopra un autobus, capienza 50 persone, passeggeri stimati 750, stretti stretti come sardine in scadente salamoia bollente, perché l’autista se la godeva la sua bella aria condizionata, ma noialtri no. Solo un po’ di arietta rovente fuoriuscente da qualche sporadica feritoia misericordiosa. Ma insomma Roma è sempre Roma, e tra mostre (Salgado all’Ara Pacis, Vezzoli al Maxxi, Helmut Newton e New York Oggi al Palazzo delle Esposizioni), concerti (Mark Lanegan e Smashing Pumpking alle Capannelle), qualche cenetta spartana, a base di porchetta vegana, tutto sommato ce la stavamo spassando, la “grande bellezza”, lì, è un dato di fatto.

Ma torniamo al punto. Riecco l’autobus, riecco Mariangela. Un’anzianissima probabile nobildonna decaduta (che è poi scesa regolarmente e sdegnosamente a Piazza di Spagna, con le chiavi di casa in mano, ed era troppo vecchia e arcigna per essere Lory Del Santo), ringhiante e spiritata, perfettamente compresa nel blasone reale o pataccaro che fu, un ghigno nefasto stampato in volto, vedendo Mariangela quasi con le treccine vicino a lei, o meglio, presagendo, annusando la sua incerta presenza intorno a lei, con le brusche frenate del conducente troppo impegnato ad aggiornare il suo profilo Facebook che provocavano per di più qualche tamponamento a catena tra noi passeggeri;

ma la vetusta signora indossava un abitino di fresco volpe e filo spinato che ci teneva tutti ben distanti da lei,

e insomma scambiandola per un’apparente africana, a brutto muso,  le fa, gridando a squarciagola: “Non mi tocchi con quei capelli!”. “Si allontani!”. “I capelli, i capelli!”.

E qui preme il contemporaneo, il midollo del tempo.

Nel mentre si approssimava la farsesca tragedia, non potendo già beneficiare di opportuni Google Glasses,

non mi restava ahimé che accontentarmi di vecchi istinti, trucchi del mestiere e risorse pavloviane:

scomporre e ricucire in tempo reale gli avvenimenti in fotogrammi sequenziali,

rimescolandoli poi a cazzo, tanto per sentirmi vagamente un po’ “giovane artista” anch’io;

scattare tutta una serie di foto da inviare immediatamente col mio bottone segreto su fb/twitter/google +/instagram/pinterest;

interrogarmi non senza trasporto emotivo su cosa pensassero in quel momento e mediamente i passeggeri, e quanto di quel frullato di pensieri trovasse poi la via maestra di facebook, o di twitter/google +, ecc;

compulsare il mio telefonino alla ricerca del tweet governativo del giorno di Enrico Letta,

e delle previsioni meteo, ristava arrivando Caronte.

Che caldo. Fa sempre più caldo.

Ma balzò a bordo un branco di ragazzi, neanche giovanissimi, che cominciarono a urlare in coro le siglette del programma “Le Iene”, “Sconvolt Quiz” e “gli ultras” su tutti.

La vecchia signora prese a ballare e a saltellare insieme a loro.

Noi scendemmo lì, ma non ci lanciarono banane addosso.

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