IL PRINCIPE È IN TIRO: CHE BEL CONCERTO, DE GREGORI

Diciamo subito che è stato un bel concerto. Un De Gregori decisamente tonico e ispirato ha così cancellato i timori paventati da molti circa il presunto esaurimento della sua verve creativa e la stanchezza di rimettersi ogni volta in discussione neo tour. E forse anche qualche precedente non esattamente all’altezza delle aspettative.

Si dirà: ma gira e rigira, il “principe” sempre quello è, e i suoi pezzi talvolta paiono cloni di altri, quasi dei deja vu. In effetti, quando si tratta di cantautori, il rischio di replicare all’infinito è in costante agguato. E non mancano certo precedenti illustri in letteratura (Conte, Venditti, Dalla, Guccini, ecc.). Ma è anche vero che l’appassionato, in quanto tale disponibile a perdonare ogni nefandezza al proprio beniamino non si aspetta nulla di diverso, lasciando ai critici il compito di esaltare oppure demolire il suo eroe. Certo, gli anni passano per tutti, e mentre il pubblico cresciuto con il cantante è in genere di bocca buona, le ultime leve, che pure sono costretti a sorbire i racconti edulcorati dei rispettivi padri (e nonni!) su grandi adunate e concerti romani a costo zero, sono distratte da milioni di messaggi sonori provenienti da milioni di loro simili che tentano l’avventura, che vogliono cantare.

Allora cosa fa l’amico De Gregori? Semplice, reinventa i suoi cavalli di battaglia, li stravolge musicalmente, rendendoli appetibili all’orecchio degli adolescenti, ma anche, con qualche comprensibile distinguo, del suo pubblico più datato. E il concerto di domenica sera ha confermato questa tendenza. Accantonato (per sempre?) il folk delle origini, De Gregori si è trasformato in rocchettaro, anzi in pop-singer, con disinvolte scivolate nel country, nel blues. Risultato dell’operazione? Eccellente, almeno a giudicare dai piedi che martellavano le gradinate in cemento del teatro. Naturalmente, per raggiungere il suo obiettivo ha pensato bene di aggiungere alla consueta base ritmica di chitarre, basso e batteria, un’intera sezione di fiati, una brava (e bella) violinista, la fisarmonica, il banjo, il mandoloncello, la pedal-steel-guitar, l’autoharp. Insomma, ce n’era d’avanzo per confezionare le atmosfere ipotizzate; la bravura dei musicisti, che qui non cito per mancanza di spazio, ha fatto il resto.

Ovviamente, De Gregori ha alternato col giusto equilibrio brani del suo ultimo album (Sulla strada) ai “suoi gioielli” rivisitati alla maniera di cui sopra. In evidente serata di grazia, ha persino attrezzato un paio di cori – avvenimento inusuale nei suoi concerti – permettendo infine al pubblico pagante di struggersi e stonare sulle mitiche rime di Buonanotte fiorellino e di Rimmel.

Ripeto, complessivamente è stato un bel concerto: due ore e mezza di buona musica, di ballate mescolate sapientemente ad arrangiamenti pop di livello, con il “principe” fisicamente in tiro ad onta delle molte lune sul groppone.

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