Bayeshan

Una cosa la so e non la presumo/l’unico modo per andare in tv per me è uccidere qualcuno/e non me ne frega se quando canto fischi/o se non trovi la mia roba nei negozi di dischi/sono fuori dal circuito, quello degli artisti/ mi trovi nel più lurido negozio di whisky”.

È stato molto difficile ottenere l’intervista in esclusiva mondiale con l’Artista Bayeshan. Lo rincorrevano da tempo anche il New Musical Express, Rolling Stone e Cronache Abruzzesi. Ma alla fine l’ho spuntata io. Tampinando il suo indaffaratissimo fratello e manager. Che sono io. Anche se da piccolo/Bayeshan mi inseguiva per casa con la mazza e col casco/e ancora oggi c’ho i brividi/quanto sento le storie come Garlasco.

Ma chi è l’Artista Bayeshan. Il reuccio del rap post-pecoreccio. Quindici dischi usciti in manco cinque o sei anni di attività agonistica. Se ne sono accorti in quindici. Immaginate un incrocio genetico tra Er Piotta, gli Squallor e Luigi Tenco; un ménage fantasmagorico tra il disimpegno emotivamente impegnato dei nostri tempi e la demenzialità più gratuita, smaccata, liberatoria, politica. Capace di nefandezze narrative inenarrabili, ma anche di improvvise impennate di autentica poesia, signore e signori, prostitute e papponi, ecco a voi Bayeshan! Al secolo Gianluca Di Fazio. Il Fabri Fibra di Montesilvano, nei pressi della Pineta dell’Amore. L’uomo che ardì definirsi “sono un pazzo completo/sono un pazzo completo/con un cazzo di un metro”.

Lui ascolta musica nella sua stanza, io ascolto musica nella mia stanza, e nostro padre il giovin pensionato, la new entry, ascolta musica in salotto, mentre l’angelo del focolare sta combattendo la sua pluri-quotidiana crociata contro la peste del secolo: la polvere. “Io non vivo vegeto è come se fossi in coma/quando entro nei reparti i matti mi fanno la hola”. Mi trilla il computer. Ha inizio l’intervista. Su Skype.

Artista Bayeshan. Come mai questa scelta coraggiosa di indossare una maschera da suino nei tuoi prossimi live act?

“Mah forse perché in fondo in fondo sono un maiale…O forse perché così ti assomiglio di più”.

Parlami del tuo nuovo album, “Nella prossima vita”.

“Come il precedente è stato scritto di getto, nei ritagli di tempo, quindi non ho curato più di tanto né la metrica né le tematiche. Però pare che ci sia qualche demente che l’apprezza ‘sta roba, quindi posso ritenermi pienamente soddisfatto. Le basi sono state realizzate da Erma, un produttore di Imperia che ha collaborato con grossi nomi della scena underground”.

Per chi non ti conoscesse ancora, come ti descriveresti, in estrema sintesi?

“Ti dico come mi descrivono gli altri: un malato di mente creativo”.

Il tuo penultimo album ha accenti molto più introspettivi ed esistenzialistici del precedente. La tua penna si è fatta a tratti lirica e dolente. Canti Stasera il successo non busserà alla mia porta/ma non mi troveranno per terra con la testa rotta/ho l’acqua alle ginocchia e un futuro incerto/per il domani non ho piani e nemmeno un progetto/sono anni che aspetto aspetto aspetto/ma la risalita ormai è come un miraggio nel deserto/per la gente come me non c’è mai un cancello aperto”.

“E’ che ultimamente soffro di depressione, o di qualcosa che gli si avvicina parecchio. Io non vivo una vita/io mi deprimo/passo la giornata prendendomi in giro/bevendo litri di vino”.

Canti “Mando demo ogni giorno/ma non mi tornano indietro nemmeno le ricevute di ritorno”.

“Se è per questo qualche piccola soddisfazione me la sono tolta pure io. È stata per esempio richiesta la mia collaborazione da diversi influenti musicisti dell’underground nazionale, e nella classifica della rivista Basement, tra i rapper emergenti di uno degli ultimo Meeting delle etichette indipendenti di Faenza mi sono piazzato sesto su 106 concorrenti…”.

Ammettilo: la canzone su di me, “Mio fratello è post-rock”, l’hai scritta per guadagnarti un’autostrada per la gloria.

“No. E’ stata quella che ho composto più rapidamente, e ho dovuto auto-censurarmi, per non risultare troppo offensivo… Potrei sfornarci un intero disco su di te”.

Nel tuo istant-classic ‘Sono un precario’ è riassunta, con pochi mirabili tocchi di pennello, la condizione dei giovani d’oggi. Molto più eloquente una canzone così, che decine di ponderosi tomi di sociologia del lavoro editi da Il Mulino. “Sono un precario vario tanti lavori/sono un precario ma ho buone intenzioni/sono un precario spero in giorni migliori/sono un precario con Berlusconi e con Prodi”.

“Infatti sci! Ma come recito in “Non c’è problema”, “Non c’è problema se la situazione non si assesta/male che va ci spareremo un colpo in testa”.

E cosa ne pensi, ora, del governo Monti?

“Ci farà finire sotto i ponti”.

Cosa ci faceva, un Artista come te, nove anni fa, al Flaiano, a sciropparsi un filmaccio d’autore?

“Ho un ricordo traumatico di quella serata. Ma la cosa più triste è che la gente faceva davvero finta di appassionarsi. Fu una mia ex ragazza, ‘na mezza spostata di coccia, a portarmici a forza”.

Chi scrisse ‘L’educazione sentimentale?’ In che anno avvenne la presa della Bastiglia?

“La Bastiglia se l’è presa Luigi, una delle mie muse ispiratrici, sabato sera. Questa battuta è talmente scontata che l’avresti potuta fare persino tu, col tuo umorismo da 75enne”.

Cosa ne pensi di noi giovani alternativi radical-chic di sinistra?

“Andate a lavorare! Ma vuoi sapere la verità? Sono uno di voi”.

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