Lilia e la pioggia

Ecco l’album d’esordio di Lilia (Scandurra), di Pescara, ventitré anni. Un po’ alla Apollinaire, “Il pleut”, esce per l’etichetta indipendente “Grammofono alla nitro”. Vi collaborano musicisti di grande spessore, da Fabio Duronio a Graziano Zuccarino, Giacomo Salario. Al vero amore alla vera arte non si comanda. Lilia giovane cantautrice 3.0. Una predestinata, una che potrebbe volare molto lontano nel tempo. La prima volta che l’ho sentita suonare dal vivo, tutti gli angeli a far festa. Tutti i capelli ricresciutimi in testa. Galeone sindaco alla guida di una giunta comunale di tutte belle donne disposte in 4-4-2. Da allora non perdo un suo live, e ogni volta è un piccolo fantastico romanzo dal vivo, avvincenti carezzevoli suggestioni, senza spargimento di veleni del corpo, o dell’anima. Per certi versi Lilia riporta in vita, upgradata e corretta, la lezione delle “ragazze con la chitarra” di francese memoria sixties: Catherine Spaak, Francoise Hardy, Claudine Longet. Con la sua chitarra, una lunga treccia, qualche pudica tastiera e percussione, o dinoccolato vibrafono, di passaggio, Lilia che ha cominciato per caso e per istinto, tre anni fa, canta soprattutto in francese. Tra l’apollineo e il dionisiaco. Lilia canta di esistenze senza domani tra le nostre braccia e di sopravvivenza al nostro destino, di pioggia e guerra, di mari che cantano di somiglianze e di indifferenze, di  “a cosa serve fare cose cattive?”. La sua è musica naturalmente senza tempo, a miccia lunga, immune da qualsiasi auto-indulgenza pop o “indie” da cameretta. Il cielo fuori da una stanza.

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