A PROPOSITO DEL VATE

La città festeggia il compleanno (150 anni) del suo cittadino più conosciuto nel mondo, Gabriele D’Annunzio. Attenzione: non il più interessante e rappresentativo, altrimenti dove collocare ‘Nduccio, Vincenzo Olivieri e Galeone? Questo almeno il mio parere; ma, si sa, in giro mi conoscono per denigratore di professione e certo non potevo esimermi e non unirmi ai peana, alle tavole rotonde, alle alate commemorazioni officiate da  studiosi più o meno insigni, politici più o meno trombati, giornalisti spesso semi-analfabeti e nostalgici di “libro e moschetto”.

Dice: che fai, sparli dell’Immaginifico che ha ammaliato con la sua opera successive generazioni, dell’eroe-guerriero nonché imperterrito circuitore di donzellette, che tanto lustro ha conferito al nostro altrimenti sconosciuto casato? Embè? Confermo ogni sillaba, anzi, visto che siamo in conversazione, insisto, reitero.

Già da un punto di vista squisitamente letterario le opere di quel bellimbusto, si fa per dire, mi hanno sempre lasciato indifferente. Sottoposto a tortura potrei salvare l’opera giovanile (Primo vere, Canto novo, Le novelle della Pescara), mentre manderei senza alcun rimpianto al rogo il rimanente, per primi La Figlia di Jorio, il Piacere, La fiaccola sotto il moggio, l’Innocente, autentici esemplari di “laterizio” teatrale.

Quando poi ancora sbarbatello, spulciando gli scartafacci della malridotta biblioteca cittadina, mi sono imbattuto nel vissuto del personaggio al di fuori della retorica di regime, sono stato assalito da un immediato senso di fastidio. Passi per le stronzate roboanti proprie del periodo storico (i volantini lanciati su Vienna, la repubblica fiumana, i pugnali e gagliardetti, gli ehia–ehia-alalà) ma, giovani, quell’individuo pare avesse come scopo esclusivo nella vita fottere il maggior numero di individui (dicono anche qualche fraschetta di buona famiglia, purché provvista di adeguate rendite e cespiti in proporzione), spingendone molti alla bancarotta e alcuni/e al suicidio. Insomma, nient’altro che un avventuriero, un cacciatore di altrui dote, inveterato scroccone sempre in fuga per il continente inseguito da creditori e mariti imbufaliti.

Qualcuno obietterà: ma il “poeta” non andrebbe innalzato al di sopra dell’ordinario, del meschino? Altrimenti come portare a termine opere immortali se contemporaneamente Questi deve stare a preoccuparsi di rimediare pranzo e alloggio per la notte, e vile pecunio per scapricciarsi alla sua maniera? Certo, la storia dell’arte pullula di personaggi affamati e squattrinati, di seduttori irresistibili e disperati, di gente diventata famosa solo dopo la morte. Ma Quello è stato osannato anche da vivo, e da vivo ha dissipato, si è consegnato a ogni piacere, anche il più scellerato; a ogni spacconeria “culturale” e politica.

Se questo è un Vate.

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