Dottor Tibò e Mister Mediamuseum

Una lanterna magica della seconda metà dell’ottocento ti accoglie non appena entri. Insieme a un custode che guarda le figure del quotidiano Il Centro. Il grado zero della civiltà delle immagini in movimento, e del mercato del lavoro contemporaneo. Segue una fitta tela di imperiosi proiettori d’epoca, sembrano sottomarini d’acciaio inossidabile che hanno vissuto tempi ben più duri e gloriosi dei nostri. Presenze enigmatiche. Terzi occhi della società e della cultura di massa. Macchine ancora oggi assolutamente miracolose, per tutti noi sognatori “con la testa sempre fortemente poggiata sulle nuvole”. Ma Edoardo Tiboni, il fondatore dei Premi Flaiano e di questa imponente struttura in comodissimo comodato d’uso, dov’è? In quale ufficio? Qualcuno l’ha visto? Il Mediamuseum è un raduno permanente di benefici fantasmi, magnifiche ossessioni. “Il film è un’opera d’arte che vive solo nella quarta dimensione, il tempo. Un’opera d’arte alta tre centimetri e lunga tre chilometriscrisse Ennio Flaiano, che era un caro amico, in vita, di Edoardo Tiboni, ha sempre sostenuto Edoardo Tiboni, e il fatto non è mai stato né smentito né confermato da Ennio Flaiano non più in vita.

Provo a pagare i tre euro del biglietto d’ingresso ma il custode si è nel frattempo reso irreperibile per sempre. Al Mediamuseum, aperto tutti i giorni dal giovedì al venerdì dalle 12 alle 12 e 15 e dalle 17 e 30 alle 18 meno 5, si intrecciano in maniera naturale gli immaginari cinematografici, televisivi, teatrali. In una missiva indirizzata a sua madre, preannunciante una sua visita nella natìa Pescara, Gabriele D’Annunzio scrive: “Fammi trovare la neve, e le pallotte”. Frattanto io cerco di trovare gli interruttori della luce, perché le smisurate aree espositive del colossale ex Tribunale di Pescara (assegnato praticamente in blocco a Edoardo Tiboni, ammesso che Egli sia mai esistito, per farne il “nuovo Museo del Cinema di Torino”, il fatale Mediamuseum, dopo che Egli aveva minacciato Comune, Provincia e Regione e Pro Loco varie di “andarsene a Chieti”, dopo che Comune Provincia e Regione e Pro Loco varie se l’erano fatta sotto dalla paura in seguito al j’accuse apologetico uscito e letto, in triplice copia, sul quotidiano Il Tempo) sono in buona parte al buio, la luce devi accendertela da solo, nonostante la costante massiccia affluenza di pubblico, per esempio oggi siamo in due, io e il cinefilo custode, che finalmente ricompare dall’enorme nulla, annunciato dalla suoneria del suo cellulare, il tema musicale portante di “Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio”, con Lino Banfi.

Giungo alla sezione consacrata al rapporto passionale e lungimirante che il Vate intrattenne con la scrittura drammaturgica per il cinema, il teatro, la pubblicità nascente. Ecco la sceneggiatura di “Cabiria”, film di culto ante litteram; ecco le foto pre-novecentesche di Basilio Cascella, che veicolano un’antropologia abruzzese talmente cruda e realistica, da sembrare scattate oggi. Popolane, venditrici di frutta, suore, chiromanti, improvvisate e svestite, giulive modelle, dalle generosissime forme, androgine mandriane. Ma qualcuno ha avvistato più Edoardo Tiboni negli ultimi trent’anni, in modalità “routine quotidiana”, al di là delle cinquantacinque conferenze stampa annue di prammatica in cui lamenta i drastici tagli pubblici alla cultura e il conseguente inestimabile danno materiale e d’immagine per il bouquet di associazioni culturali perenni a Lui facenti capo, che “portano il nome di Pescara nel mondo”? I Premi Flaiano, l’Istituto multimediale Scrittura e immagine, il Premio d’Annunzio la Mediateca regionale, l’Osservatorio nazionale della scrittura audiovisiva, l’Osservatorio del nuovo teatro nazionale italiano, l’Osservatorio astrofisico di Montesilvano Colle, il Centro Studi crociani…

Centinaia di locandine giganti scorrono, avvolgono, confondono; locandine di pellicole che hanno fatto la storia, che hanno evocato storie. Settima arte hollywoodiana, europea, asiatica. Raffigurazioni murarie di dive e divi della società dello spettacolo in formato dovutamente epico, titanico, wall screen. Al Mediamuseum si rincorrono illimitate memorabilia di una vertigine a occhi sgranati, commossi, elettrizzati, ridenti, buio in sala, dai fratelli Lumiere al 3D. Pannelli fotografici, collezioni video, riviste d’annata. I vincitori di trentacinque anni di Premi Flaiano. Praticamente l’intero bel mondo televisivo e cinematografaro italiano è transitato per qualche ora a Pescara, tra l’hotel Carlton e il teatro-monumento “d’Annunzio”, un Pegaso d’oro e un bel gettone di presenza a ciascun premiato per scalare i titoli degli inserti locali dei quotidiani nazionali.

S’è fatto tardi, il custode deve essersi dimenticato di me, unico visitatore della giornata, se n’è andato, m’ha chiuso dentro! Giro disperato per i saloni mastodontici dei tre piani del Mediamuseum, quando d’improvviso parte una musica sinistra, la colonna sonora di “Shining” di Stanley Kubrick. E mi ritrovo nel mezzo di una festa da ballo, il dj avrà sì e no 85 anni, tutta una serie di inamidati esegeti crociani e di scapestrate velone dannunziane balla,cheek to cheek, il Waka Waka. Mi si avvicina un tipo non particolarmente atletico, incurvato, che deve aver mandato parecchi comunicati stampa in vita sua. Mi colpisce perché ha tatuate tre scritte un po’ esoteriche sui suoi due striminziti avambracci: “Dc” e “Fus” (Fondo unico per lo spettacolo sta stampigliato in piccolo) sull’avambraccio destro; “Legge quadro per i finanziamenti pubblici alla cultura” su quello sinistro. Ci presentiamo. “Piacere – mi fa – sono il dottor Tibò, sono il custode del Mediamuseum da quasi centocinquanta anni”.  “Ho fatto tanto per questa città ingrata, per la sua crescita culturale e civile.  E cosa ho ricevuto in cambio? Un pugno di mosche! Nemmeno due terzi della torta complessiva dei finanziamenti pubblici in materia di cultura! E una modesta mansardina come ‘sto ex Tribunale”. “E pensare che ho sempre dato una grossa mano anche alla lotta contro la disoccupazione: quanti settantenni ho sottratto alla disperazione della pensione, reinventandoli come relatori, conferenzieri, comparse e stuntmen dannunziani? E quanto refrigerio ho donato alle masse sudaticce, nei Flaiano Film Festival, grazie all’aria condizionata del cinema Massimo?” mi fa ancora il dottor Tibò, Mister Mediamuseum.

Io comincio a urlare Wendy, Wendy! Con vocina melliflua e sguardo spiritato, trascinandomi tra le stanze e per le scale, mentre fuori nevica. “Ho portato qui – mi rivela, con una voce sempre più ipnotica e suadente, Tibò – anche un artista come Fiorello, che nella serata di gala conclusiva, in mondovisione su Telemare, ha detto “Sono onoratissimo di ricevere il Premio, il Premio, mmm, il premio Città di Taormina? Il Premio Grinzane Cavour? Il premio Fla… ma come minchia si chiama ‘sta passerella sterile di celebrità e starlette, ’sto Premio che viene assegnato sfogliando le Pagine Gialle dell’industria dello spettacolo? Premio Flaiazzo? Che parte a razzo… Un abbraccio a tutti voi, cittadini di Pesaro!”. Wendyyyyyyyyyyyyy.

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