ESSERE MUSICISTI, E POETI, OGGI: MARCO DI MECO, L’ARTE NEGLI OCCHI

Marco Di Meco è nato a Chieti, oggi vive a Città Sant’Angelo, e ha 31 anni.

Si è diplomato in Socio-Psicopedagogia presso l’Istituto “Gonzaga” di Chieti nel 2001, con tanto di Tesi sulla “Musicoterapia”.

Ha poi intrapreso lo studio del flauto traverso sotto la guida del Maestro Sandro Carbone presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara.

Il flauto traverso, il suo primo e sempiterno amore.

Ha poi proseguito i suoi studi musicali presso il Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano, con il Maestro Mario Ancillotti, conseguendo il diploma in “Interpretazione e Perfomance” (“La Svizzera sì che tutela la cultura, la rispetta più di ogni altra cosa al mondo” mi dirà più tardi).

Per poi frequentare l’Accademia italiana del Flauto di Roma, sotto la guida di Angelo Persichilli. Poi i Master Classes con i flautisti Karl Heinz Schutz, Frederique Saumon, Luisa Sello, Antonio Amenduni; i workshop di musica afro-americana tenuti dal Columbia College Chicago e dal Berklee College of Music…

Enfant prodige (anche se lui si schermisce al riguardo, ha quella mancanza di prosopopea tipica dei talenti veri), nel 2001 il suo debutto come flauto solista con il concerto KV313 di Mozart assieme all’Orchestra del Conservatorio “L.D’Annunzio” di Pescara all’Auditorium “Flaiano” di Pescara.

Dal 2002 al 2003 è “Flauto di fila” nella Fanfara dell’Accademia Navale di Livorno; dal 2003 al 2008 svolge attività concertistica suonando con ensemble cameristici in mezza Europa; dal 2009 insegna Flauto Traverso presso l’”Accademia dei Templi” a Chieti. Nel corso del tempo viene diretto da astri di prima grandezza come Luis Bacalov, Lu Jia, Giorgio Bernasconi…
Nel 2012 fonda, assieme al chitarrista Andrea Conti e al pianista Fabiano Di Dio, il Bimini Project, spazio musicale ricercato e plastico in cui confluiscono ascendenze e generi “così lontani e così vicini” quali la classica, il contemporaneo, l’afro-americano.

Col Bimini, in duo “dispari”, in modalità classico-jazz-bossa-funk avremo modo di applaudirlo martedì 30 luglio e martedì 6 agosto al Brigantino Beach di Montesilvano, all’interno della serata “Ozio Nights”, organizzata proprio dalla nostra rivista.

Ma Marco Di Meco è anche un prolifico e sopraffino giovane scrittore; ha fin qui pubblicato quattro libri, un altro è in uscita; compone libri in versi, ama e scrive poesie, “congegni poetici”, lui li definisce così.

La musica colta ma popolare, e la poesia: sono questi i capisaldi  dentro cui si muove l’agire artistico e l’esistere tout-court di Marco Di Meco, che ha 31 anni ma ha vissuto molto di più di quanto suggerisca l’anagrafe. Perché il fuoco della creatività e della cultura con la doppia c maiuscola accende gli orizzonti, schiude di continuo nuove porte al nostro stare al mondo.

Lo incontro in un pomeriggio di afa apparente dentro un luogo-non luogo della costa. E’ di nero vestito e porta a spalla il suo inseparabile strumento. L’aria condizionata ci assiste. Ha una luce davvero intelligente e sensibile e pacifica negli occhi. Simpatizzo subito con lui. Si percepisce lontano un miglio che ama incondizionatamente l’Arte.

Partiamo parlando proprio della sua ultima creatura, il Bimini Project, che di recente è stato protagonista di un applauditissimo aperitivo-concerto in pieno centro, blindato al traffico, e all’aperto, a Pescara. “Il Bimini è un progetto-cantiere, teso a sperimentare nuovi linguaggi e nuove forme, al di là degli antichi e stantìi steccati tra musica “alta” e “ bassa”. Ho suonato per anni all’estero, Svizzera, Francia e Inghilterra su tutti, e mi è entrato in corpo questo anelito: mescolare, miscelare”.

Il suo strumento è il flauto traverso classico. “Non so perché, ma amo da sempre il flauto traverso, ha sempre agito nel mio incoscio”.

Iniziò a studiarlo a quattordici anni, quattro anni dopo era pronto per il suo debutto. Poi gli anni romani (“tutti studi paralleli alla mia sempre fitta attività concertistica”), l’approfondimento del Classico contemporaneo. E a cascata i concerti all’estero (come quello all’Auditorium di Lugano, o al National Gallery di Londra, o in Francia, con ensemble cameristici), “Ho sempre prediletto gli ensemble da camera”.

“E ho sempre rispettato profondamente il jazz – continua Marco Di Meco -, e non tanto per l’improvvisazione, il fatto squisitamente tecnico,  ma per le radici culturali della musica afroamericana per eccellenza”.

Essere musicisti e poeti oggi. “Ho sempre tenuto ben distanti e biforcate la poesia e la musica. Quello che preesiste è il motore artistico. La scintilla, l’afflato, che solo in seguito va a incontrare il suo destino: a volte si incanala in ambito letterario, altre volte sfocia in musica”.

Il più grande musicista di tutti i tempi, per lui, è Mozart. “Senza di lui, la sua vertigine, sarebbe stato decisamente un mondo diverso. Nella sua semplicità, Mozart è stato di una complessità lirica e formale assoluta. Ha detto tutto”. E un riconoscimento perpetuo va tributato anche a Chamber, “quello che ha scoperto le tonalità”.

Marco Di Meco ha sempre avuto lo stimolo di scrivere.

“Sono partito leggendo Pratolini, e poi Montale, Quasimodo, Ungaretti… E da lì il mio amore viscerale per l’ermetismo fiorentino (Mario Luzi, ecc.)”.

Si indigna, di un’indignazione possente e rara snocciolando nomi che forse pochissimo dicono a una generazione digitale cresciuta a pane e chat: “Bigongiari, Sinisgalli….Mi scandalizza sapere che tutti questi enormi poeti non hanno avuto il beneficio di una ristampa, non hanno più diritto di cittadinanza nelle librerie italiane… Possibile che entrando in una qualsiasi Feltrinelli sia impossibile trovare l’opera omnia di Bigongiari?”.

Gli occhi di Marco brillano sempre più.

“Io non bado molto all’immagine, ma alla sostanza delle cose”.

“Se in campo culturale finalmente si adottasse un modello cooperativo… Invece in Abruzzo si tende alla guerricciole per bande. Anche nella musica, anche nella letteratura. Ma così la scena non crescerà mai. La cultura è la cenerentola indiscussa, e un po’ di colpa ricade anche sui grandi privati, che da noi non investono mai sul Bene-Cultura”.

“Il mio sogno? Che chi ci amministra cominci a valutarci esclusivamente in forza dei nostri curriculum e delle nostre capacità”.

Un fatto è certo: se in Abruzzo, e in Italia, ci fossero più ragazzi e ragazze, più uomini e donne come Marco Di Meco, la nostra regione, la nostra nazione, tornerebbero rapidamente ai fasti che pur gli competerebbero per natura.

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