A PROPOSITO DELLA GRANDE BELLEZZA CHE TRIONFA ALL’OSCAR (1)

A proposito de La Grande bellezza“, il capolavoro di Paolo Sorrentino che stanotte si è aggiudicato, come da iper-pronostico, l’Oscar come Miglior film straniero,

riceviamo e pubblichiamo questo comunicato dei Premi Flaiano, che trancia il suo giudizio:

«Due giorni prima dell’anniversario della nascita di Ennio Flaiano (5 marzo 1910), Paolo Sorrentino che nel 2012 ha ricevuto il Premio Flaiano per la regia di “This Must Be the Place”, ha trionfato la notte scorsa agli Oscar aggiudicandosi il riconoscimento come miglior film straniero “La grande bellezza”, magistralmente interpretato da Toni Servillo, anch’egli Premio Flaiano nel 2003: anche Paolo Sorrentino, come molti registi dalla sicura ambizione, cade nella tentazione fatale di raccontare Roma e lo fa affondando le mani nel suo cuore nero, scoperchiandone il sarcofago da dove fuoriescono i fantasmi della città eterna, esseri notturni che spariscono all’alba, all’ombra di un colonnato, di un palazzo nobiliare, di una chiesa barocca. Un carnevale escheriano, mai realmente tragico ma solo miseramente grottesco, una ronde impietosa ritratta con altrettanta mancanza di pietà. A nessun personaggio di questa Grande bellezza è dato di evadere, e anche chi fugge lo fa per morte sicura o per sparizione improvvisa (ad esclusione del personaggio di Verdone, una sorta di Moraldo laziale, che si ritrae dal gioco al massacro tornando nella provincia da cui è venuto). Le figure di Sorrentino non hanno vita propria, sono burattini comandati da mangiafuoco, eterodiretti da una scrittura tirannica, verticale, sempre giudicante. Non hanno spazio di manovra, sembrano non respirare. Come fossero terrorizzati di non piacere al loro demiurgo, sembrano creature soprannaturali, evanescenti, eterne macchiette bidimensionali, schiacciate dall’imperativo letterario che le ha pensate. Con l’eccezione di quei personaggi cui è dedicato uno spazio più congruo come la Ramona di Sabrina Ferilli (davvero notevole) e il Romano di Carlo Verdone, gli altri animatori di questo circo hanno diritto a pochi concisi passaggi. Il domatore Jep Gambardella li doma tutti dispensando frusta e carota. La crisi di cui si dice portatore è senza convinzione, come i trenini delle sue feste, non porta da nessuna parte. Ma questa condanna sconfortata che cade su tutto e tutti, alla fine è assolutoria; e il ritratto di questa società decadente che si nasconde dentro i palazzi romani, mai visibile agli occhi di un comune mortale, sempre staccata dalla realtà, diventa solamente pittoresca.

La filmografia del regista è disponibile presso la Mediateca d’Abruzzo della Fondazione Tiboni in Piazza Alessandrini a Pescara».

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